Chi ha vinto il Premio “Procida, isola di Arturo – Elsa Morante” XXIX edizione?

Chi ha vinto il Premio “Procida, isola di Arturo – Elsa Morante” XXIX edizione?

Nella splendida cornice di Santa Margherita Nuova, il 23 e 24 settembre si è tenuto il 29esimo premio letterario dedicato ad Elsa Morante. Appena avevo ricevuto i libri vi avevo presentato i tre titoli in finale: “Il Grande Animale” di Di Fronzo, “Il cinghiale che uccise Liberty Valance” e “Neve Cane Piede” di Morandini, (vi rinvio qui per le schede di presentazione dei tre romanzi).

La loro lettura mi ha accompagnato per tutto il mese di agosto e settembre, fino alla prima serata dove ho potuto incontrare e discorrere con i tre autori dei libri finalisti. Per chissà quale strana congiunzione astrale la giuria tecnica ha selezionato tre romanzi strettamente legati alla figura di un animale: un cinghiale, un cane e un non bene identificato serpente – piuttosto lungo direi e pericoloso.

Il premio, quest’anno, è andato a Neve Cane Piede di Claudio Morandini

Ad onor del vero, dico subito che il mio voto finale è stato per”Il Grande animale”, nonostante il mio grande dibattito interiore e la lotta all’ultimo “sangue” che ho vissuto, per dare il mio voto.

Quindi partirei dagli altri due per dare un mio giudizio personale, non saranno tre recensioni lunghe come ero solita fare, per una questione di tempo, ma ovviamente sono disponibile per chiacchierarne ulteriormente.

Iniziamo dalla lettura del vincitore:

La storia verte intorno alla figura montanara di Adelmo Farandolo, uomo che per volere o necessità si è ritirato sulla SUA montagna – perché la montagna è la sua, l’ha comprata insieme al fratello.Ogni estate scende a valle, fa scorta per l’inverno e si ritira lì tra le sue pietre e la sua neve, in attesa che l’inverno arrivi. Una vita solitaria che segna il corpo e la mente, Adelmo non ricorda sempre tutto, a volte dimentica, come dimentica ad esempio di essere già sceso a valle in quell’anno per comprare le provviste, o che le sue mucche non le ha più, eppure lui le sente muggire. E’ solo, almeno fino all’arrivo del fido cane, una creatura animale, muta, incapace di parlare, almeno fino a che Adelmo non gli da voce e a quel punto le mura della baita si riempiono di chiacchiere, e di scenette quasi comiche, di discussioni accese tra il cane e quello che alla fine diventa il suo padrone. In un libro duro come le rocce che Adelmo ama così possessivamente, Claudio Morandini racconta il lento declino della mente di un uomo, che oramai sospetta di tutto e di tutti, abituato a vivere da solo, con la sua montagna e ora la compagnia di un solo cane silenzioso a fargli compagnia. E’ una lenta scoperta come il disgelo primaverile che porta a scoprire anche tante verità nascoste o meglio dire dimenticate fino a far emergere solo un piede, un indizio.

Vi sono due storie: un cinghiale che straordinariamente apprende la lingua degli uomini e il film di Wayne “L’uomo che uccise Liberty Valance” a far da contorno alle “caotiche” vicende vissute dalla cittadina – immaginaria – di Corsignano, in Toscana, non molto lontano dal confine umbro-laziale. A Corsignano tutti sanno tutto, tutti si conoscono, è un paesino piccolo e ben rodato su ingranaggi oliati da anni. E’ un romanzo corale, a mille voci, dove si intrecciano le vicende e gli scandali del presente e del passato, tutto questo sotto gli occhi attenti di un cinghiale Apperbohr che in una rivelazione epifanica joyciana riesce improvvisamente a comprendere cosa gli Alti sulle Zampe e il loro strano modo di parlare e di vivere, e soprattutto di essere. La narrazione è così piena e “rumorosa” da creare un’iniziale scompenso in chi legge, bisogna abituarsi alla scrittura di Meacci, per riuscire ad apprezzare l’intero complesso narrativo ricco di particolari. Per citare lo stesso libro, parlando del film di Wayne, Walter risponde a Fabrizio così:

– E’ un capolavoro proprio perché ti ci vogliono almeno venti volte, per notare cose che – in un’opera d’arte meno capolavoro – noteresti subito… … –

E infine arriviamo al libro di Gabriele Di Fronzo. “Il Grande Animale” è il suo romanzo d’esordio, è il racconto di un tassidermista, non preoccupatevi se non sapeAte cosa sia, neanche io lo sapevo prima di iniziare a leggere questo romanzo. Un tassidermista è un imbalsamatore, in altre parole imbalsama gli animali su commissione. Lui è un tassidermista, è avvenuto così per caso, era un hobby all’inizio e sarebbe rimasto tale se un suo amico non lo avesse consigliato. Il suo primo animale fu un gattino piccolissimo, di pochi mesi, un animale che lo mise alla prova, perché se puoi sbagliare nelle cose grandi, in quelle piccole non ti è concesso, perché si noterebbe troppo l’errore. Il suo lavoro non è solo imbalsamare creature, ma bloccarle in un attimo della loro morte, come se fossero vive, per aiutare a riempire anche se mai nella sua totalità. E’ tutto una questione di vuoti e di spazi da riempire, di buchi da tappare, è solo questione di pieni e di vuoti. E in questa ricerca dell’immortalità della composizione, e della sua veridicità, del riempimento del vuoto, che si colloca la figura del padre, sempre più assente…sempre meno presente, e che alla fine lascia un vuoto, e anche quel vuoto va riempito.

Questi erano i tre romanzi finalisti, è stata una lotta quasi all’ultimo voto, con riprese improvvise e ispirate, ma alla fine ha trionfato il romanzo di Claudio Morandini, che ammetto non era il mio preferito, ma il bello della letteratura è la soggettività della lettura e di come ognuno di noi riesca ad apprezzare diversamente un libro.

Venerdì 14 si terrà la premiazione invece del libro “Il Ciclope” di Paolo Rumiz, per la sezione mare, presentazione e premiazione a cui parteciperò sicuramente.

A presto Giò!

Giovanna Lubrano Lavadera
giovanna.lubranolavadera@gmail.com
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